domenica 21 luglio 2013

La mia domenica e Giacomo Poretti

Nella vita si cresce, si cambia: è inevitabile.
Alcuni sono nostalgici, altri fanno del Carpe Diem uno stile di vita, poi ci sono quelli che come me guardano sempre al futuro e ogni cambiamento è accolto a braccia aperte.
Ma come è proprio della natura umana anche coloro che preferiscono una vita in continuo mutamento hanno bisogno dei propri punti fermi, quelle abitudini che rimangono immutate da quando hai cinque anni a quando hai vent'anni e vivi a cento chilometri da casa.
Per me quel punto fermo è la domenica.
Mi alzo non troppo tardi, mi faccio una passeggiata quando ancora la città sta smaltendo la sbronza della sera prima e ci sono solo in giro anziani mattinieri col cane, poi, prima di pranzo, tappa all'edicola di fiducia e compro l'unico giornale che leggo in tutta la settimana.
Da buona piemontese ovviamente il giornale in questione è La Stampa. Ammetto che spesso non lo leggo neanche tutto (dipende dal tempo a disposizione) ma sicuramente il primo articolo che leggo è Le 7 meraviglie di Giacomo.
Il Giacomo in questione è Giacomo Poretti, è quello del trio Aldo, Giovanni e Giacomo.
Come avrete capito aspetto trepidante il momento in cui aprirò il giornale e leggerò l'articolo per tutta la settimana, quindi non posso non condividere questo mio piccolo piacere con voi.

Tra i molti articoli che avrei potuto riportare ho scelto quello pubblicato il 30 giugno 2013, a pagina 23.
Fatemi sapere cosa ne pensate e se conoscevate già la rubrica....In caso contrario spero sia una piacevole scoperta per voi! Gli articoli già pubblicati li potete trovare sul sito del La Stampa (link)



Oggi assegnerò la prima delle sette meraviglie (tante sono le arti moderne: musica, pittura, letteratura, scultura, architettura, fotografia che sostituisce d’ufficio danza, e cinema) e riguarda la letteratura. I criteri con cui vengono conferite queste onorificenze? La giuria è composta da un unico giurato (me stesso), lo stesso giurato non ha alcun titolo di studio specifico (confermo) e la motivazione del premio stesso viene elaborata possibilmente in spiaggia, sotto un ombrellone dopo essersi consultato con i vicini di sdraio, senza per altro considerarne vincolanti le opinioni, gusti o inclinazioni. A scopo prudenziale le consultazioni in spiaggia sono effettuate prima del pranzo, per evitare che le imponenti attività digestive impediscano l’afflusso minimo di sangue e altri componenti utili al cervello con conseguente addormentamento.  

Dico subito che se la sono giocata in finale due opere diversissime tra loro: una concepita nell‘800 da un’ipocondriaco milanese e l’altra scritta nel 900 da un ebreo praghese, la prima consta di quasi 750 pagine, la seconda appena 60. La questione del numero delle pagine ha indotto una plurisettantenne professoressa di italiano in pensione, sistemata sulla sdraio e ricoperta da capo a piedi di crema protettiva fattore 50, a sostenere che sotto le cento pagine un’opera letteraria non può considerarsi romanzo ma tecnicamente andrebbe definito «racconto» o al più «romanzo breve» e che quindi non sussistevano le condizioni omogenee per raffrontarlo con il malloppone del milanese nevrotico. Tutta la spiaggia era indispettita e annoiata di queste antiche distinzioni e con una rapida consultazione con whats app si è deciso con il 73% dei voti che la nonna venisse espulsa dai bagni. 

Il secondo classificato  
Entriamo nel vivo della gara. Vero è che dopo le prime tre righe assegneresti al praghese la Coppa del Mondo degli scrittori, state a sentire: «Quando Gregor Samsa si risvegliò una mattina da sogni tormentosi si ritrovò nel suo letto trasformato in insetto gigantesco». E’ come se ci avessero messo su una montagna altissima: dopo quell’inizio sconvolgente il lettore si butta in discesa a capofitto fino all’ultima pagina rischiando di schiantarsi contro allegorie, simboli, significati metafisici, tristezze, tormenti e inquietudini. Dopo avere letto l’ultima parola sulla mostruosa vicenda di Gregor Samsa, speri che Kafka non abbia scritto altri libri. Perchè lo sai che li leggerai tutti, e per tutti i personaggi proverai struggente solidarietà e tenerezza, ma sai anche che ti toccherà di soffrire ad ogni libro: 2° classificato «La Metamorfosi» (1915) di Franz Kafka. 

The winner is....  
Fatemi dire almeno che questo libro mi è capitato di leggerlo ancora prima che frequentassi le medie, dove per obbligo scolastico impariamo a detestarlo e conseguentemente a sistemarlo nel ripiano più alto e irraggiungibile della libreria. La prima volta che l’ho avuto tra le mani avevo 9 anni. Era il Natale 1965 e quando scartai il pacchettino avvolto con la carta da pacchi marrone, comparve un libro dalla copertina cartonata color giallo, in mezzo erano disegnate tre figure, un anziano signore con lo sguardo preoccupato, e due tizi con dei baffoni lunghi come le loro spade che lo guardavano minacciosi; il titolo d era «I promessi sposi». 
Ebbi la sensazione immediata di avere tra le mani un libro importante, e contemporaneamente pensai che dovevo aver commesso qualche cosa di male, per meritarmi in regalo dai miei genitori un libro così difficile. Era una riduzione per ragazzi della Fratelli Fabbri editori del famoso capolavoro manzoniano. Cercai sollievo nelle illustrazioni, ma erano solo quattro disseminate in 115 pagine.La prima era la stessa della copertina e sotto stava una frase a commento: «Disposto... disposto sempre all’obbedienza. (pag. 6)», andai alla pagina lessi dell’incontro del povero parroco, don Abbondio, quello che non sapeva darsi coraggio da solo, e che con quella frase aveva venduto la propria dignità ai due bravi. Alla fine del primo capitolo ero già totalmente avvinto, non vedevo l’ora di proseguire per scoprire come il parroco avrebbe risolto quella ingarbugliata vicenda. 

Altro che mattone  
Quel libro, che tutti dicevano essere un mattone illeggibile, nelle pagine successive diventò un thriller che mi tenne con il fiato sospeso: il tentativo di Renzo di imbrogliare il curato, la fuga dal paese, il perfido Don Rodrigo, e l’irrompere sulla scena di frà Cristoforo! Al colmo dell’eccitazione apparve la seconda illustrazione: un signore anziano con gli occhiali tondi e una barba lunga che fingeva di dare ascolto al povero Renzo: era il dott. Azzeccagarbugli: uno dei nomi letterari più divertenti che abbia mai incontrato e altresì esilarante era la scena dei capponi restituiti sempre per lo stesso difetto di codardia. 
I due teneri innamorati intanto cercavano di sfuggire alla loro cattura sul suolo di Lombardia. Lucia finiva in un convento vicino a Monza con una suora un pochino misteriosa e con alle spalle una storia tenebrosa, ma anche lei diventava uno strumento utile per non far finire la povera Lucia nelle grinfie di un perfido scommettitore incallito. Si scappava continuamente in quel meraviglioso romanzo, si provavano tanti spaventi, ma si trovavano anche tante persone disposte a dare un aiuto. 
La terza illustrazione era quella più triste e raffigurava Lucia in barca che vedeva al chiar di luna i suoi luoghi più cari e che forse li salutava per sempre: «Addio, monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo.....» . Girando e rigirando quelle pagine mi sembrava di comprendere cosa significasse l’esilio, la nostalgia per il proprio paese, la sofferenza per lo sradicamento. Mi risollevava la baldanza e la curiosità di Renzo, la sua voglia di riscatto, la sua giovanile e ostinata voglia di farcela; e lo seguivo preoccupato quando entrava in Milano, quando assisteva alla rivolta per il pane, quando rischiava l’arresto. 
Infine la peste mi portava all’ultima illustrazione, la più inquietante: mostrava don Rodrigo fuori di sè a causa della febbre mortale, che supplica il suo fidato Griso che gli sta rubando tutti i suoi averi. Quanta paura in quella pagina densa di morte, di malvagio tradimento, di assoluta perdizione. Mi ricordo che superai quelle pagine e corsi per le ultime 40, veloce, veloce, suppplicando l’autore, un certo Signor Manzoni, di regalarmi un lieto fine. Il signor Alessandro deve avermi ascoltato e mi regalò un finale bellissimo, dove finalmente gli sposi promessi convolarono a nozze ed ebbero pure non si sa quanti vivaci mocciosi. 

Le illustrazioni  
Solo dopo tanti anni, quando mi decisi a comprare l’edizione completa del romanzo e lo rilessi con lo stesso stato d’animo (a proposito le illustrazioni erano aumentate a dismisura, erano centinaia, e bellissime: chi lo dice che le illustrazioni sono solo per bambini?) compresi una delle ultime frasi, quelle che il signor Alessandro le mette come sugo della storia, e cioè che «...quando i guai vengono, con o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore». Non smetterò mai di ringraziare i miei genitori per avermi fatto scoprire i «Promessi sposi», che assieme al fortino con gli indiani e i cow boys, fecero di quel Natale uno dei giorni più indimenticabili della mia vita. 
Confesso che ho dovuto attendere i quarant’anni per avventurarmi nella lettura della versione completa di 748 pagine del capolavoro manzoniano; mi era ritornato tra le mani in un trasloco mentre smontavo gli scaffali della libreria, girata la prima di copertina stava scritto a matita «terza media A, 1968»: lo avevo nascosto nel luogo apparentemente più irraggiungibile. 



A presto, buona domenica e...Buona lettura!

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